Roma blindata. Strade chiuse, piazze militarizzate, cecchini sui tetti, sistemi anti-drone attivati, cacciatorpediniere pronti sul Tevere. Per salutare un sovrano straniero, Jorge Mario Bergoglio detto “Papa Francesco”, la città è stata trasformata in un teatro di guerra. Gli allarmi rimbalzavano sui cellulari dei cittadini come una nuova liturgia dell’ansia, mentre l’intera popolazione, ignara e impotente, si trovava sequestrata dentro la propria città. E naturalmente, come sempre, a pagare il conto sono stati gli stessi cittadini italiani, quelli che l’acqua del Vaticano la forniscono gratis e che adesso hanno dovuto finanziare anche la messinscena funebre dell’ennesimo monarca d’Oltretevere.
Non solo repressione fisica, ma anche culturale e simbolica: il governo Meloni ha proclamato cinque giorni di lutto nazionale, mascherando dietro il cordoglio religioso una precisa volontà politica: ridimensionare, oscurare, spegnere il 25 aprile, Festa della Liberazione, festa dell’antifascismo che l’esecutivo neofascista non ha mai digerito. In Italia il morto giusto può ancora essere più utile del vivo che lotta.
Davanti a questo scenario, la parata ipocrita dei potenti si è compiuta in tutto il suo squallore. Politici di destra e di “sinistra” si sono presentati ai funerali, inginocchiandosi davanti a quel simbolo di potere. Gli assenti, se ci sono stati, lo sono stati solo per opportunismo e non per convinzione.
Viene ricordato come “il papa dei poveri”, ma Papa Francesco, come ricordato nel precedente numero da Daniele Ratti, non ha mai avuto il coraggio, né la volontà, di sostenere la Teologia della Liberazione, quella che, in America Latina, cercava di saldare cristianesimo e lotta contro l’oppressione. Anzi, la storia ci racconta l’opposto: Jorge Bergoglio, in Argentina, si è sempre tenuto lontano — o addirittura ostile — a quelle esperienze. Condannò apertamente i suoi confratelli gesuiti che aderivano agli ideali di Gustavo Gutiérrez, Helder Câmara e Leonardo Boff. La sua visione di “carità” è sempre stata paternalista, altro che rivoluzionaria!
Nel 2004 definì “fascismo” l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole di Buenos Aires. Nel 2010 parlava di “guerra di Dio” contro il matrimonio egualitario. Altro che apertura e modernità: Bergoglio rappresentava l’ala più conservatrice della Chiesa argentina, quella che, come ricordato dall’intellettuale uruguayano Alberto Methol Ferré, aveva lasciato morire la spinta dei poveri verso la liberazione per paura di compromettersi politicamente.
Durante la dittatura militare di Videla, come denuncia il giornalista Horacio Verbitsky nel suo libro “El silencio”, la biografia di Bergoglio fu legata a doppio filo alla pagina oscura della “Guardia de Hierro” e della sparizione dei due gesuiti, Orlando Yorio e Francisco Jalics. Altro che “Papa dei desaparecidos”, piuttosto fa molto eco il suo assordante silenzio nei confronti di un regime sanguinario.
Ratti ha avuto il coraggio di dirlo senza ipocrisie: un papa resta un papa, cioè un reazionario. I media occidentali, nella loro foga di trovare sempre un “Papa buono”, hanno spazzato sotto il tappeto le reali posizioni di Bergoglio.
Femminismo? Per lui è solo “machismo con la gonna”. Omosessualità? Da “curare con la psichiatria” se si manifesta troppo presto. E le lobby gay una delle ossessioni da combattere, anche dentro la Chiesa. Donne prete? Un “no” netto e irrevocabile. Preti sposati? Solo “forse”, e solo in “angoli remoti” come l’Amazzonia. Aborto? Un crimine peggiore del terrorismo: i medici che lo praticano sono “sicari su commissione”.
Sul fronte della pedofilia ecclesiastica, Papa Francesco non è stato il purificatore che ci raccontano: ha difeso e protetto figure chiave della gerarchia coinvolte in scandali enormi. In Argentina cercò di insabbiare il caso del prete pedofilo Julio César Grassi; da Papa, non trovò mai il tempo di incontrare Jean-Marc Sauvé, autore del rapporto sugli abusi in Francia.
Quando nel 2015 la redazione di Charlie Hebdo fu colpita dal terrorismo islamista, un attentato che fece diciassette vittime, Francesco trovò il modo di “condannare” l’attentato… ma subito aggiunse che chi insulta la fede degli altri “deve aspettarsi un pugno”. Un modo elegante per dire che la libertà d’espressione si può sacrificare davanti alla religione.
Insomma, Jorge Bergoglio non ha certo cambiato la Chiesa. Ha solo aggiornato il marketing. Un iPad in mano, qualche gesto populista, milioni di follower su X (precedentemente Twitter, attualmente di proprietà di X Holdings Corp., una società controllata da Elon Musk) e una tonnellata di retorica sui poveri — retorica mai tradotta in atti politici veri contro l’oppressione sistemica che la Chiesa stessa ha storicamente sostenuto.
Papa Francesco non è stato un “progressista”. È stato un conservatore con il sorriso, il volto umano di un’istituzione marcia, che si salva solo a patto di riproporsi con abili trucchi di comunicazione. Ha lottato contro ogni reale forma di liberazione, dall’America Latina all’Europa, e ha difeso fino alla fine il sistema patriarcale, autoritario e violento che chiamiamo Chiesa cattolica.
Per questo oggi, mentre i potenti si inchinano davanti alla sua bara, noi continuiamo a inchinarci solo davanti a chi lotta veramente per liberare il mondo.
‘gnazio Fatina